Il recente Rapporto OCSE-PISA per l’anno 2018 fotografa una situazione tutt’altro che rosea del nostro sistema scolastico, come emerge dal confronto dei dati sugli apprendimenti negli altri paesi dell’Eurozona.
Dalle prove internazionali somministrate a circa 11mila studenti quindicenni italiani risultano, in estrema sintesi: la limitata capacità dei nostri studenti al termine dell’obbligo scolastico di rintracciare informazioni in un testo scritto, di interpretarlo e valutarlo; solo il 5% dei quindicenni riesce a raggiungere alti livelli di competenza nelle prove di lettura, a fronte di una media OCSE pari al doppio; rispetto ai risultati incoraggianti in matematica, dove tre ragazzi su quattro raggiungono il livello 2, in linea con la media OCSE, una forte caduta nelle scienze pone l’Italia al di sotto della media dei paesi OCSE (468 vs OCSE 489).
Negli istituti professionali più della metà degli studenti (60%) non raggiunge nemmeno il livello minimo di competenza sia in matematica che in scienze. E poi l’Italia è il Paese dei cosiddetti neet, ragazzi che non lavorano, non studiano, non fanno percorsi di formazione.
È di tutta evidenza che “le colpe” di tali criticità non possono essere addossate alle scuole dove sappiamo bene in quali condizioni operino, peraltro egregiamente, dirigenti scolastici, insegnanti, personale ATA, costretti ad affrontare quotidianamente emergenze educative e sociali. Fermo restando che di fronte al tema del valore della cultura per lo sviluppo del Paese dobbiamo assumerci una responsabilità collettiva e fare una seria riflessione su quale modello di scuola ipotizzare per il futuro, dal quadro OCSE emerge l’assenza di politiche mirate per l’istruzione e la ricerca che, partendo dai ripetuti dati negativi, avrebbero dovuto e dovrebbero promuovere investimenti seri per eliminare quei fattori che impediscono alla scuola e agli altri settori del Comparto di svolgere pienamente la loro funzione istituzionale e di qualificare l’offerta formativa. E invece, il nostro Paese destina solo il 3,6% del Pil nazionale all’istruzione, a fronte di una media OCSE del 5%. Per l’istruzione, insomma, sempre parole importanti, ma fatti concreti, mai.
Lo Snals-Confsal, che da sempre si batte per la centralità del mondo della conoscenza, ha denunciato ai governi di ogni colore politico che gli scarsi investimenti nel Comparto Istruzione e Ricerca hanno inoltre determinato una progressiva perdita di prestigio professionale per chi lavora in settori che sono invece di importanza strategica per il Paese. La politica deve ancora (o non vuole?) acquisire la consapevolezza che l’investimento sul sapere è il migliore da fare, per garantire alle nuove generazioni le necessarie competenze, e, conseguentemente, per il futuro dell’intero Paese. Il ritorno di tale investimento è sorprendente.
Lo testimoniano quei paesi nei quali si sono investite risorse in cultura, innalzando il PIL destinato all’istruzione e retribuendo il personale scolastico in modo adeguato. Per il rilancio delle politiche in materia di istruzione e formazione abbiamo esposto le nostre richieste in tutte le sedi: la stabilizzazione del personale precario, la valorizzazione della professionalità del personale, l’incremento delle retribuzioni sono le nostre priorità. Il giusto riconoscimento professionale di tutto il personale si riconquista innanzitutto attraverso il rinnovo del contratto per il quale vanno individuate subito le risorse necessarie. Ma quelle stanziate nello schema di disegno di legge di bilancio, attualmente in Parlamento, sono assolutamente insufficienti.
Altra priorità per noi è la stabilizzazione del precariato in ogni profilo professionale e in tutte le istituzioni del Comparto, ma il decreto legge 126/2019 (AC 2222, approvato alla Camera con modifiche il 3.12.2019) ora all’esame del Senato, non fa sperare esiti significativi. Tutto ciò, dopo tante promesse e dichiarazioni di rito, accordi e impegni disattesi.
Ma promesse e intese non sono più credibili. Lo dimostra l’adesione del personale all’ampia mobilitazione unitaria, ancora in corso, per ottenere il rispetto degli accordi sottoscritti col Governo in carica e con quello precedente.
È la manifestazione unitaria dei direttivi nazionali dello scorso 20 novembre al teatro Quirino, a Roma, è stata la risposta eloquente della categoria ai comportamenti negativi e ondivaghi dell’Esecutivo.
Per far sentire la voce del Comparto lo Snals-Confsal ha partecipato con folte rappresentanze del personale della Scuola, dell’Afam, dell’Università e della Ricerca alla manifestazione Nazionale indetta dalla Confsal che si è svolta 10 dicembre a Roma, in piazza Montecitorio dal titolo “Per il lavoro che è dignità e libertà”.
Un fatto è certo: l’inerzia è la miopia di questo governo, e dei precedenti, noi non ci fermeremo. Nonostante le criticità che questo anno lascia in eredità al nuovo continueremo a chiedere un cambio di direzione alla politica, consapevoli che uniti possiamo farcela.
E’ con questo auspicio che rivolgo a tutti voi i migliori auguri per serene festività natalizie e un felice 2020.
Elvira Serafini
Segretario generale Snals-Confsal
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