Un’istruzione seria fa bene alla formazione, al lavoro e al Paese
Voglio ringraziare, prima di presentare le ragioni di questa iniziativa, i rappresentanti politico-istituzionali, gli esperti e i qualificati relatori che hanno accettato di discutere con lo Snals-Confsal alcune questioni che riteniamo fondamentali per dare prospettive al sistema educativo italiano. Prospettive che devono considerare nuovi parametri politici, culturali, scientifici e - come abbiamo appena ascoltato - il contesto europeo
Le ragioni dell’iniziativa dello Snals-Confsal
Lo Snals-Confsal, il più rappresentativo sindacato autonomo della scuola, intende confrontarsi con questi nuovi parametri; sa di dover accettare due sfide. La prima sfida è il confronto pubblico sul proprio progetto per una scuola migliore, che sottende anche a una precisa idea di Paese. Una scuola migliore è una scuola più seria, dove trova posto la riconquista del prestigio sociale dei docenti e della loro autorevolezza. Questa è anche una condizione indispensabile per creare una cultura favorevole alle riforme. Le riforme sono vere se portano a una società più equa, attraverso una ridistribuzione della ricchezza e un ridisegno dell’economia. Un ridisegno che comporta una variazione dell’importanza dei diversi settori produttivi e occupazionali. Si tratta, infatti, di incidere sia sulla domanda sia sull’offerta dei beni che si producono e si vendono. Non è solo questione di aumentare i consumi ma di incrementarne, soprattutto, la qualità. Significa ridare importanza al lavoro e non alle rendite e alle speculazioni finanziarie che, tra l’altro, hanno portato l’Italia ad essere uno dei paesi, tra quelli più avanzati, con maggiore disuguaglianza. Si deve rimettere al centro il lavoro, con meno tassazione. Si deve spingere la produzione di “oggetti” più competitivi - nella società tecnologica e globalizzata – con tutto il valore aggiunto della cultura, dell’innovazione, della ricerca che il nostro paese può esprimere, se messo nelle condizioni di farlo. La società italiana, oltre che disuguale, è anche bloccata con un basso indice di mobilità. Puntare sulla scuola e sull’intera filiera dell’istruzione e della formazione significa, dunque, credere che sia possibile la mobilità sociale e che sia vantaggioso studiare.
La seconda sfida riguarda il ruolo del sindacato che, per poter partecipare alla costruzione di un nuovo Progetto Paese, deve senz’altro avere memoria della storia passata, deve essere consapevole della propria identità e della sua funzione di corpo sociale intermedio vicino ai lavoratori. Il sindacato ha, però, bisogno di dotarsi di nuovi strumenti e nuova cultura per costruire un nuovo ruolo. Perché il sindacato ha il dovere non solo di dare voce al diffuso disagio sociale e di difendere diritti, ma anche di raccogliere la volontà dei lavoratori di riconquistare credibilità e autorevolezza. Ciò è tanto più vero nei settori che rappresentiamo, quelli della scuola, dell’istruzione e della formazione che richiedono una nuova visione dei fenomeni, l’identificazione degli obiettivi prioritari e la ricerca di soluzioni più avanzate. Lo Snals-Confsal, con questo Convegno Nazionale, si augura di approfondire alcuni temi fondamentali che costituiscono il “cuore” vero di un dibattito sulla funzione istituzionale della scuola. Sono temi politico-culturali, che vanno oltre quegli aspetti organizzativi e gestionali contenuti nella legge 107 e che riguardano tre questioni fondamentali.
La prima questione
La prima questione è la necessità di un’istruzione seria, la vera base per l’acquisizione di conoscenze e competenze su cui fondare una formazione utile all’occupabilità delle giovani generazioni e alla creazione di lavoro più competitivo e innovativo.
La scuola è la principale infrastruttura del Paese. Infrastruttura perché serve a collegare, a tenere insieme le funzioni fondamentali della nazione e i servizi ai cittadini, perché crea capitale umano, capitale sociale e capitale immateriale. E’ sulla qualità di questo capitale che deve fondarsi la ricchezza della nostra nazione e le sue possibilità di crescita. Bisogna, per questo, distinguere l’istruzione dalla formazione. L’istruzione deve essere di qualità e selettiva, è di responsabilità primaria della scuola, che non solo deve fornire a tutti gli strumenti di accesso al sapere, ma anche riconoscere il merito e l’impegno degli studenti. Occorre dire cosa si vuole dalla scuola. Serve chiarezza su questo perché riguarda direttamente la missione della scuola come istituzione e non come semplice servizio. Missione della scuola e la stessa funzione docente che non possono essere appiattite sulle domande sociali del presente. La scuola non può essere un “contenitore” di emergenze educative e sociali (come ad esempio: povertà, bullismo, fenomeni migratori) anche se deve dotarsi di metodi e strumenti sempre più aggiornati e avanzati. Bisogna sapere quali richieste i docenti devono fare ai giovani e alle loro famiglie. Famiglie che, oggi, spesso rinunciano ad esercitare le loro responsabilità educative in una società che introduce anche una grande confusione sui valori fondanti la persona e il vivere sociale. La scuola deve costruire il futuro dei giovani con una robusta formazione di base e deve metterli nelle condizioni di comprendere quello che fanno durante il percorso scolastico per scegliere, poi, con la massima consapevolezza. La formazione viene dopo una solida istruzione, senza la quale non si forma nessuno. Una formazione che deve essere volta alla promozione e all’inclusione sociale e lavorativa, di cui si devono prendere carico le istituzioni, le imprese e l’intera società.
La seconda questione
La seconda questione è conoscere quali siano oggi gli strumenti per permettere ai giovani di uscire dalla “mediocrità” diffusa e per stimolarli ad allenare la mente al pensiero logico. Solo menti allenate sono in grado di tenere il passo con realtà e ambiti sempre più complessi e densi di concetti e fatti. Proprio la scuola deve far crescere persone capaci di cercare e trovare i punti fermi per comprendere, condividere o contrastare ragionamenti, soprattutto quelli imposti da mode e, spesso, da un uso non consapevole delle tecnologie informatiche. E’ indubbio che sono mutate le caratteristiche della popolazione giovanile, le sue capacità di apprendimento e di autonomia. Ma molti sono i segnali di fragilità emotiva e sociale. I giovani, fin dalla prima età, dimostrano una straordinaria capacità di manipolazione fine e di pensiero visivo, ma rischiano di avere una grande debolezza nelle abilità linguistiche e nel pensiero logico. E’ a rischio la loro capacità critica, che si fonda sulla riflessione e che permette anche creatività e innovazione. Occorre ri-definire la funzione dei docenti nella costruzione del sapere, dello spirito critico e riflessivo, nel guidare l’orientamento ai valori e l’educazione nei contesti attuali, che hanno luoghi e tempi diversi da quelli tradizionali. E tutto ciò va messo in connessione con i saperi disciplinari delle materie di insegnamento, con le nuove acquisizioni scientifiche e con l’innovazione didattica. Occorre, insomma, far uscire il dibattito sull’educazione dalla marginalizzazione che ha nel nostro paese. Per questo ringraziamo gli esperti che hanno accettato il nostro invito e che appartengono al campo delle scienze neurologiche e psicologiche. Questi studi molto possono dirci sui processi genetici e culturali che generano, formano e modellano la mente, il pensiero, l’acquisizione e la produzione del linguaggio, la comprensione e i comportamenti. Occorre ri-individuare quali siano i fondamenti a cui la scuola deve “tenere” e a cui devono dedicarsi gli insegnanti, distinguendo ciò che è veramente importante e ciò che è sovraccarico inutile e, forse, anche dannoso. Il tema vero non è tanto quello dell’introduzione delle tecnologie e del loro uso. Il tema principale è piuttosto quello della trasformazione antropologica e cognitiva dei “nativi digitali” e come la scuola può sfruttare ed educare le nuove abilità e competenze. Proprio oggi, perciò, il ruolo dei docenti è ancora più importante per la costruzione della conoscenza. Si tratta di scardinare una mentalità diffusa nella società - indotta da una parte politica e da una parte sindacale – che, invece di valorizzare il lavoro intellettuale, la serietà, la promozione delle eccellenze, il merito, ha appiattito tutto, ruoli professionali e potenzialità dei giovani. Il risultato è stato quello di una scuola massificante, con un falso egualitarismo. Ma è una scuola che rischia anche di inchiodare nella scala sociale di nascita proprio coloro che invece dovrebbe aiutare nella mobilità sociale. Ci deve essere, finalmente, un’assunzione di responsabilità collettiva nel decretare definitivamente il fallimento delle ideologie degli anni ‘70 sull’istruzione e sul lavoro. Serve quindi una visione radicalmente nuova cui devono partecipare tutti i docenti per recuperare spazio sociale e dignità professionale.
La terza questione
La terza questione è come rendere concreti questi concetti per dare maggiore occupabilità ai giovani. Bisogna ri-animare la scuola italiana, ri-accreditarla agli occhi dell’opinione pubblica, spingerla verso il ruolo decisivo che le spetta per le sorti del paese. Ma la ricerca di percorsi non può essere quella di una deriva aziendalistica e utilitaristica della scuola e del sapere. L’istruzione ha bisogno di ampio respiro, di tempi lunghi e di riaffermare l’importanza di un sapere approfondito e critico, fondato sulle conoscenze e non immediatamente appiattito sulla conquista delle competenze spendibili nella socialità e nel mondo del lavoro. O meglio dei “lavori”, la cui rapida trasformazione non ci consente ora neanche di immaginare ciò che sarà richiesto ai giovani tra pochi anni. Certamente serve una didattica innovativa e nuovi ambienti educativi. Ma occorre anche modificare l’assetto e l’articolazione del tempo scuola e del tempo di apertura delle scuole. Il tempo scuola dedicato alla vera funzione della scuola, cioè al curricolo e allo studio serio, deve essere garantito dallo Stato con il proprio personale, al quale non possono essere attribuiti altri compiti. A questo tempo di istruzione, si può invece aggiungere un ulteriore tempo di permanenza nelle strutture scolastiche per altri bisogni di formazione e di socialità con attività sportive, culturali e artistiche, da affidare ad altre figure educative. In questo modo si dà, anche, una risposta concreta alle indicazioni pedagogiche ed europee sull’integrazione dell’istruzione formale, non formale e informale. Si valorizzano così le inclinazioni, le motivazioni e i talenti dei giovani e si creano le condizioni per elevare i loro livelli di apprendimento. La più estesa utilizzazione degli spazi scolastici potrebbe, però, servire anche per il recupero e il rafforzamento degli apprendimenti curricolari e delle competenze. Queste attività, accanto a quelle finanziate dallo Stato in modo non sufficiente per tutte le esigenze individuali, potrebbero essere svolte dai docenti delle scuole statali con oneri a carico delle famiglie, prevedendo forme di defiscalizzazione. La proposta dello Snals-Confsal è di prevedere anche per i docenti la possibilità di svolgere attività didattiche, in maniera trasparente, sotto forma di uno speciale regime di intramoenia, da svolgersi su piccoli gruppi di allievi, ovviamente non appartenenti alle classi loro assegnate. Nel Convegno è presentato il Progetto di alternanza Scuola-Lavoro Scholarsjob, che ha alla base il concetto che l’alternanza deve essere integrata con i processi di istruzione. Questa innovazione, ora generalizzata nella scuola italiana, non deve andare nella logica della “sottrazione” di scuola, ma anzi verso quella del rafforzamento delle conoscenze e competenze scolastiche per un migliore inserimento nel mondo del lavoro. Vogliamo, infatti, essere presenti nelle innovazioni, con la qualità dei nostri progetti. Ma dobbiamo anche esprimere le nostre preoccupazioni. L’alternanza va collocata prevalentemente nei tempi al di fuori di quelli curricolari e nei periodi estivi, non può essere occasione né di addestramento, né di sfruttamento, né un cambiamento della funzione docente. Le 400 ore negli istituti tecnici e professionali e le 200 ore nei licei, nel triennio, devono mantenere, dunque, la loro natura di strategia per incrementare le capacità di orientamento degli studenti e le opportunità di lavoro. Ma questa strategia non può terminare con la scuola superiore. L’alternanza ha forse ancora più importanza dopo i percorsi scolastici e dovrebbe essere introdotta in modo più strutturato in tutti i corsi accademici e in modo più intenso di quanto previsto già ora in alcuni. Il vero contatto con il mondo dei lavori e con il mondo delle professioni è fondamentale e sarebbe utile per tutti quei giovani che sentono come drammatica la separazione tra sapere teorico e sapere e valori propri dell’attività lavorativa. Una separazione che li rende ancora più insicuri di fronte alle loro prospettive occupazionali, così difficili nel nostro paese. Gli interventi di rappresentanti di istituzioni che hanno responsabilità sulle politiche attive del lavoro e di esperti del mondo delle professioni possono aprire nuove linee di confronto e di ricerca di soluzioni sempre più positive e condivise.
Conclusioni
L’attenzione sulle future generazioni è per noi un imperativo professionale e sindacale. Nessuno più di noi vive ogni giorno le trasformazioni dei comportamenti di quasi 7 milioni di giovani che affollano le aule e che sono i destinatari dell’impegno, dell’intelligenza e anche del sacrificio di tanti lavoratori. Bisogna avere un progetto serio per il futuro dei giovani. Altrimenti è del tutto sterile ricordare l’alta percentuale di abbandono scolastico e di disoccupazione giovanile, il numero crescente dei giovani neet e il calo delle iscrizioni universitarie, in una nazione che ha una bassa percentuale di laureati. E’ per questo che lo Snals-Confsal ha inteso proporre una riflessione allargata. Una riflessione indirizzata al mondo della scuola, agli esperti e alla politica. Ma anche all’opinione pubblica perché è necessario un generale mutamento di atteggiamento. Bisogna certamente chiedere di investire più risorse in istruzione per progettare e realizzare maggiori opportunità formative. Ma è l’intera collettività che deve considerare l’educazione come motore dello sviluppo. Ma non si possono solo reclamare diritti, bisogna anche assolvere i doveri. L’istruzione è un diritto, ma studiare è un dovere. Questo significa non solo rendere produttiva la spesa pubblica in istruzione ma anche rispettare la scuola e chi ci lavora, ri-affermare la serietà degli studi, riconoscere l’importanza di competenze solide e chiedere comportamenti responsabili agli studenti. Su questo terreno, lo Snals-Confsal è pronto al confronto e a dare il proprio contributo. Nel concludere il mio intervento, ringrazio nuovamente tutti i partecipanti per la presenza e per l’attenzione riservata a questo incontro.
Marco Paolo Nigi
Segretario generale Snals-Confsal